mercoledì 20 ottobre 2010

La scienza dei Simpson.

Niente. Questa settimana proprio non vuole passare. E l'unica cosa che sembra passare è l'influenza da una persona all'altra. A me l'ha attaccata Federico. L'ho sempre detto che mi faceva male stargli vicino. Ma lui non mi ha mai creduta e adesso vedi un po' come faccio io. Che domani ho compito di biologia e chimica, ma ho così mal di testa e di gola e di pancia che non so come concentrarmi. E in un'ora sono riuscita a studiare solo quattro pagine. Il che non va bene per niente.
E venerdì ad Udine c'è uno spettacolo che io non posso perdere e chissà a che ora tornerò a casa e sabato ci saranno il bellissimo compito di greco e il compleanno di B. che no, nemmeno questo posso mancare, perché è una delle mie più care amiche. E poi domenica c'è quello spettacolo/capolavoro di Peter Stein, i Demoni, che dura dalle 11 am alle 11 pm e lunedì il compito di fisica, per cui devo studiare prima, il che significa spartire il lavoro tra giovedì pomeriggio e sabato pomeriggio. E niente. Superata domenica - facciamo lunedì, dai - forse forse tornerò a respirare. Con il naso, magari, e non con la bocca.
Ma siccome già oggi lui mi ha presa in giro per la mia voce e mi ha pure detto che, come al solito, sono una stupida ad andare a scuola in queste condizioni e io gli ho anche urlato dietro, cosa che finalmente non facevo da un po' e lui neanche, in effetti, ma comunque gli ho urlato dietro che oggi avevo una quantomai probabile interrogazione di greco - c'è stata - e un'altra di italiano - pure quella - e nemmeno martedì sarei potuta mancare, perché avevamo compito di matematica - l'ennesimo - e lunedì neanche, per la versione di latino. E allora scusa, eh, se mi pare di avere degli obblighi, scusami tanto.
E sì, scusatemi anche se dubito di arrivare al week-end.
Sono a pezzi. E spero che questa settimana sia un po' come le puntate dei Simpson. Che cominciano in un modo e finiscono in uno che tu neanche t'immaginavi e pure ti lasciano un sorriso.
Benedetta scienza dei Simpson.

venerdì 15 ottobre 2010

Wanna have fun.

E' così strano come con certe persone ci si senta poco e ci si capisca troppo. Mi succede. Spesso. Con chi abita lontano e con chi abita più vicino.
E' stato giusto un caso che io avessi il cellulare nella tasca dello zaino e che lo zaino in questione fosse in camera, dove io stavo studiando i quanto mai cari lirici greci dell'Attica. Ho sentito uno strano rumore e mi sono resa conto che era il cellulare in vibrazione. Lo prendo e vedo: V.
Un po' ho strabuzzato gli occhi, perché la V. in questione è un donnino ricciolino e carinissimo che ho conosciuto per caso due anni fa. Abbiamo scoperto di essere nella stessa scuola, in sedi diversi, visto che lei ha un anno in più. Poi, l'anno scorso, lei ha deciso di fare la quarta superiore in Germania. Ci siamo mandate sms giusto per le feste e qualche mail. In estate, ci siamo riviste. Poi io son partita e al mio ritorno è ricominciata la scuola.
Ora le mi chiama. Mi dice: Ti ho detto che mi sono trasferita ad Udine? Sì, frequento un liceo classico lì, alcune materie si studiano in tedesco ed inglese.
Io manco sapevo esistesse 'sto liceo, ad Udine. Me l'ha detto lei. Sono contenta. Perché di lei so che ama le lingue e che vuole fare la scuola per interpreti. Nulla di più.
Poi un invito che non mi aspettavo: Domani è il mio compleanno, ci verresti alla mia festa?
E io un po' ci sono rimasta, perché non lo sapevo che era il suo compleanno e, soprattutto, non so cosa prenderle. Però ho detto di sì. E ora sto trafficando nel mio armadio per cercare qualcosa di carino da mettermi per domani e, nel mentre, penso anche al suo regalo. Quale, non lo so.
Però una nota positiva c'è: dopo tre settimane che mi rifiuto di uscire a festeggiare, lei, con una chiamata, mi ha più che convinta.

giovedì 7 ottobre 2010

Just a boy and a little girl.

Oggi ti ho parlato così tanto che non lo so come tu abbia fatto a sopportarmi. Ma avevo bisogno di dirti tutto, le cose più assurde e senza senso e inutili, perché tu lo sai come sono fatta io, che son sempre quella che ricorda le stronzate che mai nessuno neanche guarda, come il fatto che il cannocchiale di Galilei ingrandisse di 27 volte.
Ti ho detto tante cose. Non ti ho parlato solo di Galilei.
Mi hai fatto salire sulla tua moto e siamo andati al parco e io ti ho detto che avevo paura della moto, ma di te mi fido, di te mi sono sempre fidata.
Ci siamo seduti sull'erba, come facevo da bambina e come tu facevi da bambino e ci siamo messi vicini, con te che mi tenevi le mani, con te che mi baciavi piano, con te che per me sei il lato Coca-Cola della vita, con te che mi fai credere le cose più stupide e smielose.
Ci siamo seduti sull'erba e tu mi hai chiesto com'erano gli States. Io ti ho detto che erano un bel posto, ma che Londra, tu lo sai, è l'unica mia vera casa - Londra, e le tue braccia.
Ti ho detto che era così strana la sensazione di stare lontani dalla propria città, allora che la distanza non era una corsa di treno, come quando per alcuni giorni me ne vado a Venezia e ciao a tutti. Allora la distanza era un oceano intero, un continente, e la mia città non avrei saputo ritrovarla ad occhi chiusi. E mi sembrava quasi che l'unico modo in cui io potessi ritrovarla fosse chiudendo gli occhi, nella mia testa. Ma, indovina?, c'eri tu nella mia testa.
Ti ho detto che ho preso il diploma di piano e che voglio imparare a suonare la chitarra e che voglio provare a scrivere una canzone, non solo stupide marcette durante l'ora di composizione. Ti ho anche detto, però, che non mi faccio tanti scrupoli, io. Che lo so che non sono come John Lennon, che, appena imparato gli accordi fondamentali al piano, ha scritto quella meraviglia di canzone che è Isolation. E che, forse, è una delle canzoni che sa meglio raccontarmi. E che poi, ogni volta che la sento, io ci penso. Io ci penso che, con te, avrei voluto cambiare il mondo intero. E ho riso come una stupida, perché, queste cose, io di solito le scrivo, non le dico ad alta voce, perché non ci credo. Ma tu mi fai credere a tutto.
Tu potresti indicarmi una stella a caso e farmi credere che quella è la direzione per Neverland. Io ti crederei, giuro, ti crederei. Perché tu mi hai salvata. Io che odio essere salvata, ma tu mi hai salvata.
Ti ho detto che adoravo il fatto che tu di musica non ci capissi nulla, perché poi mi piaceva farti ascoltare qualcosa e sentirti canticchiare il ritornello, qualche giorno dopo, solo per farmi piacere. Ti ho detto che avrei voluto essere ogni canzone sulle tue labbra.
Ti ho detto che amavo la sensazione che dove finissero le tue dita cominciasse la mia pelle.
Ti ho detto che io amo te.
Però poi ti ho detto che non stavamo più insieme e che tu mi stava solo confondendo, però, per favore, continua a farlo, perché questa è la confusione che mi fa girar la testa fino a sentirmi scoppiare di vita.
Io ti amo. Lasciami parlare, lasciami spiegare. Io ti amo.
Mi sembra tanto la frase da adolescente rincoglionita, e forse lo è, forse lo sono, però non m'importa. A te è sempre andato bene. Quando ridevi e dicevi che ero una bambina, ma cosa posso farci se amo fare le bolle di sapone, la pasta di sale, e guardare i cartoni della Disney? Cosa posso farci se io sono io e non so cambiare altrimenti?
A te è sempre andato bene. Che io non sono come lei, che è bionda, sa mettere un bel paio di tacchi ed ostenta borse di Vuitton o chi per lui. Io ho la mia divisa di jeans, magliette in stile anni '60, Converse e borsa di tela che a momenti scoppia per tutto quello che ci metto dentro. Io oggi non avevo i capelli ben raccolti come lei, avevo le treccine e una fascia colorata in testa, perché a me piacciono le cose colorate. Io sono io. Però tu mi hai detto lo stesso che sono bellissima, e io lo stesso non ti ho creduto, ma capisci quanto importante sia stato per me?
Tu mi fai sentire importante. Tu mi fai sentire. Punto. Tu mi fai capire che io non sono un corpo vuoto, cavo, senza senso. Tu mi fai capire che io sono qualcuno. Per te.
E io ti amo e non so come fare, adesso.

mercoledì 6 ottobre 2010

Isolation.

Per giorni interi non ho fatto altro che pensare fosse colpa loro. Perché non mi avevano protetta e, anzi, domenica avevano pure permesso che il marito di mia zia - ma chi cazzo ti ha chiesto niente? - facesse commenti su me e la mia vita, neanche troppo carini, in effetti.
E allora, senza girarci troppo intorno, mi sono sentita una merda. Soprattutto perché nessuno aveva alzato un dito per difendermi, né niente.
Poi mi sono resa conto di una cosa. L'unica che avrebbe dovuto dire qualcosa, proteggersi, sarei stata io, effettivamente. Ma poiché il mio orgoglio si è ormai polverizzato, ho sorriso come una cretina e non ho detto nulla.
Forse forse, dovrei cominciare a pensare cose più carine sul mio conto, e forse forse aveva ragione quella stupenda personcina che me l'ha detto ieri notte. E forse forse, la prossima volta, avrò il coraggio di ribattere e mandare tutti alla famosa meta turistica dell'affanculo.
Vi farò sapere. Intanto, fate il tifo per me. Mi aspetto striscioni.